
Oltre la soglia di casa
Un film in forma di racconto intimo che ha la sottile forza di diventare pubblico, plurale, di suonare come una canzone popolare e di farti sentire parte di quel che vedi, pure se a distanza. Un film che prende il tempo del primo lockdown per lavorare sulla distanza e l’isolamento, sulla continua possibilità di romperne la rassicurante integrità anche solo grazie alla voce, al suo suono e alla sua invisibile ma palpabile possibilità di aprirsi uno spazio e arrivare a condividere un tempo più profondo, come sospeso, che è il tempo dell’ascolto. Il tempo del racconto e del piacere del raccontare o del raccontarsi, pure se parli di un altro o di un gatto su un pianeta sconosciuto.
È un film che ti mette in ascolto, ti sollecita a riconoscere le sfumature delle voci e delle parole, a svelare il loro retrostante voler dire e a fartelo rilevare da quello che accade tutto intorno, dai piccoli dettagli fuori fuoco che pure diventano nuova linea dell’orizzonte e deriva oltre ogni confine. Così, la ritmica dei gesti non insegue i fatti ma conduce a contemplare la densità del loro accadere e del loro mutare lungo il giorno che lascia spazio alla notte e al chiarore dei suoi fuochi accesi. Il film è dunque un lavoro sul paesaggio, un omaggio che ne celebra la presenza senza esibizione e che opera come uno straniamento geolocalizzabile ma senza indirizzo alcuno, perché i luoghi possano documentare il vuoto lasciato dalla sospensione pandemica e la distrazione con cui sciattamente li si è lasciati invadere o costruire.
Il film allora accompagna l’occhio a poggiarsi su ogni dettaglio e a spostarsi, prendere le distanze, posizionarsi tra dentro e fuori il paesaggio sonoro e visivo e prendersi il tempo per farsene spettatori, per leggerne il lento mutare come quello delle ombre tracciate dal sole, dai gesti quotidiani che segnano anche i corpi lasciando che le rughe siano da inciampo possibile per chi le guarda e si fa più attento. Uno sguardo che diventa prossimo, vicino a quel paesaggio che attraversi, vivi, come un teatro cui ti afferri per sentirtene di nuovo parte. Un teatro muto dove restiamo tutto il tempo ad aspettare l’incontro con i volti, la loro anima, a farsi corpo, a divenire il senso dello spazio stesso.
Un film che ti restituisce quello che manca allo scorrere del tempo quando è sordo, quando ai volti, agli sguardi, alle mani operose, alle loro voci, manca di incontrare la luce dello sguardo di un altro. Scopri, guardandolo, che ti manca il tuo presente perché quello esiste solo se apri e ti slanci oltre la tua soglia. L’esperienza da spettatore ti fa sentire, dunque, il limite della deriva dove l’umanità sembra essersi rifugiata, come cristallizzata: in una asettica e solitaria quanto rasserenante individualità. Di contro ti sembra di respirare con più agio all’idea di uscire dalla decretata distanza e ricordare che l’essenza umana, pure nell’isolamento, trova il suo senso nel gesto di uscita nel mondo, nell’oltrepassare la soglia di casa, nel lancio di un sasso, nel sussurro di una voce che si estende verso chi l’ascolta, pure se sconosciuto. Un gesto che non può essere sordo ma che segna e collega ciascuno al moto atomico e a quello cosmico e ti dà il tempo di respirare, ti chiede di seguire l’andatura del sole, delle onde, della fiamma, e ti svela che quello non è che il ritmo del tuo stesso respiro. Il respiro che talvolta accelera, sale di tono, segue il dilatarsi del tempo, apre all’immaginazione e alla forza del racconto e si accende in un chiarore che è lo stesso del fuoco che brucia i segni di un tempo trascorso e, come un contrappunto, viene a farti calore, a chiamarti a sè, a offrirti in dono il racconto. La bellezza è che non t’importa quale storia sia. Chi siano i protagonisti o la figura principale. Perchè quello che t’importa, e lo scopri proprio così, nello scorrere lento e pure ritmico del film, è che qualcuno ti sta chiamando all’ascolto, sta chiedendo di esserci come testimone di un segreto di cui sei tu stesso artefice.
Un inno al racconto, ai narratori, al tempo che ritorna solo se lo afferri e gli dai forma di storia.
Forse una dichiarazione d’amore all’umanità. Un canto che solo il vento conosce. Uno sguardo e un passo oltre la propria soglia di casa.