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Ballata del tempo fermo

da | Mar 13, 2021

È utile, e importante, tornare sul recente passato, come ci permettono di fare con delicatezza e profondità Vassallo e Mannironi, gli autori di Volevo solo sapere come stai. Lockdown Ballad, per rielaborare l’esperienza del lockdown, a un anno dal suo inizio, e mentre ci rassegniamo a subirlo ancora, a continuare a vivere una vita, di fatto, sospesa.

Perché, immergendoci nel film, seguendo la scarna vita dei personaggi che sono messi in scena, possiamo riflettere su quel che è successo nelle nostre vite – e nei nostri pensieri – e prepararci (forse) al futuro immediato, traendo insegnamento e forza dalla rielaborazione dagli stratagemmi che abbiamo architettato, ma anche dalle debolezze, dai lutti, dai conflitti che abbiamo vissuto.

In breve, qualche indicazione sulla trama della pellicola.

Siamo in pieno lockdown da covid-19, nel deserto di una località di villeggiatura in Sardegna – San Teodoro, si intuisce, da una targa stradale. 

Le strade del paese sono vuote, a parte qualche rarissima apparizione, le persone sono chiuse in casa, o nel posto di lavoro, a gestire le proprie attività di routine. Un sacerdote che dice messa in totale solitudine, una coppia di netturbini che passa a raccogliere la spazzatura, un medico, un funzionario pubblico, che lavorano al telefono, perché non possono ricevere, un piccolo allevatore che cura le sue bestie… Forse l’unico, quest’ultimo, fra tutti, almeno ai nostri occhi di cittadini nostalgici della natura, a sembrare non aver modificato le sue abitudini, a conservare un rapporto solido, continuo, con la sua vita “di prima…

Oltre a costoro, i due protagonisti: un fotografo, uno scrittore, che seguiamo nei loro tentativi di “scavalcare” la solitudine della quarantena.

Il fotografo allinea, una dopo l’altra, su una mensola, una serie di fotografie tutte uguali, sempre la stessa inquadratura, ripresa giorno dopo giorno: lo stesso tratto di spiaggia con di fronte lo stesso tratto di mare, che si perde sempre sullo stesso tratto di orizzonte, a far da metafora di una condizione esistenziale, individuale e collettiva, diventata immutabile, ferma, come se anche le forze della natura, il tempo meteorologico, si fossero arresi al lockdown deciso dagli umani…

Con una differenza, nel suo agire, rispetto alla fissità che intuiamo, nel “fuori campo” del film, con i comportamenti degli altri abitanti della zona, fermi nelle loro routine, di lavoro o di stasi: il fotografo comincia a telefonare, a caso, a degli sconosciuti che pesca sull’elenco telefonico della zona, semplicemente per chiedere “Volevo solo sapere come stai”.

Sconosciuti che in maggioranza gli rispondono grati, disponibili, a raccontargli il proprio lockdown. Due tecnologie se si vuole ormai “arcaiche”, obsolete, cadute in disuso: ormai usiamo lo smartphone, che possiamo sempre spegnere se non vogliamo essere disturbati, e che ha la sua rubrica di contatti, che permette di circoscrivere il nostro giro di conoscenze. Molto diverso dal vecchio telefono fisso, un medium “caldo”, che implica un’intimità che avevamo abbandonato, messo da parte, imparato ad evitare – ma di cui riprendiamo a sentire il bisogno, chiusi in casa come siamo…

Così come il fotografo telefona a degli sconosciuti, lo scrittore telefona ai suoi amici e conoscenti: è stato incaricato di scrivere un racconto di fantascienza, rispettando dei vincoli precisi, ne parla con gli amici, forse in cerca dell’ispirazione, o per dare ordine agli spezzoni di trama che gli vengono alla mente – o magari solo perché è un buon motivo per sentire qualche voce “viva”, per parlare con qualcuno, rompendo il suo isolamento forzato…

Ecco, è qui, in queste dinamiche, i “pieni” delle azioni dei due protagonisti, a rompere il rischio di una routine depressiva e triste, i “vuoti” che intuiamo in tutti gli altri, coloro che vediamo lavorare, e coloro che intuiamo dietro le porte e le finestre chiuse delle case di San Teodoro, la solitudine e il deserto delle stradine del paese, gli alberghi vuoti, in un lento procedere verso l’abbandono, quasi come in un racconto di James Ballard, è qui che percepiamo un conflitto: fra chi cerca di resistere agendo e chi si abbandona al flusso delle routine della vita quotidiana, una corrente che rischia continuamente di fermarsi e stagnare. 

Ma, d’altra parte, ciò che da un lato è stagnazione, stasi, dall’altro è un ancoraggio alla solidità delle abitudini, delle routine della quotidianità.

L’eterna dinamica fra stasi e mutamento, l’eterno bisogno di rituali – nuovi, o antichi – che ci facciano da terreno solido per vivere dentro la condizione umana.